Regia di Gina Merulla
Con Mamadou Dioume
Dopo trent'anni di assenza, ritorna sulla scena Mamadou Dioume, storico attore e collaboratore di Peter Brook, per un incontro memorabile con Anton Čechov.
Il grande attore e regista franco-senegalese sceglie il drammaturgo russo per ricominciare il suo viaggio di ricerca sull'origine delle tecniche teatrali e intraprendere un percorso di creazione di nuovi codici espressivi volto a proiettare lo spettatore in una dimensione sconosciuta e affascinante.
Estremamente divertente e ironica ma anche intensamente struggente l'opera di Čechov dialoga col suo pubblico e lo conquista raccontandogli la sua stessa storia.
La regia di Gina Merulla trasforma i quattro brani in un unico quadro narrativo in cui si mescolano colori, personaggi, parole. Viene esplorata a fondo la dicotomia fra “immobilità” e “divenire” cui non possono sfuggire i protagonisti, lo spazio, le emozioni.
I personaggi si trovano per la prima volta dinanzi ad uno specchio che restituisce loro un'immagine sempre diversa: ora sconosciuta in cui essi non sanno più riconoscersi, ora così familiare.. sempre la stessa. E lo specchio va in frantumi.
Quando questi frammenti abitano lo spazio lo modificano, lo trasformano, lo stravolgono facendogli assumere significati sempre diversi e sempre profondamente reali.
“ Una Natura Enigmatica ”
Un uomo e una donna si incontrano in treno e come si fa spesso con gli sconosciuti iniziano a raccontarsi le loro vite. Lei rivela a lui una vita di sacrifici e sventure costretta a vivere accanto ad un vecchio e ricco marito per aiutare la sua famiglia. Ma le disgrazie non sono ancora finite..
“L'Orso”
Una vedova inconsolabile, un ufficiale di artiglieria, un debito che li mette l'uno contro l'altra: chi vincerà il duello?
“La Signora col Cagnolino”
La passione costruttiva e distruttiva insieme è alla base dell'incontro fra Dmìtrij, maturo e arrogante seduttore e Anna Sergéevna giovane ed inesperta villeggiante sulle rive di Yalta. Un uomo ed una donna che fanno i conti con la realtà e con se stessi.
“Il Canto del Cigno”
“Capii allora che non esiste alcuna sacralità dell'arte, che è tutto delirio e inganno, che io sono uno schiavo, un giocattolo dell'ozio altrui, un buffone, un pagliaccio! Capii il pubblico! Da allora non ho più creduto agli applausi, né alle corone, né agli entusiasmi.. Il pubblico mi applaude, spende un rublo per le mie fotografia, ma io gli sono estraneo”